23 Novembre 2024
Il fatto

Bambini, adolescenti e il divieto di uscire. Ne parliamo con lo psicologo Piero Cavaleri

Piero Cavaleri (foto tratta da Facebook)

L’ultima ordinanza del presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci, allenta un po’ le maglie del fermo causato dall’emergenza sanitaria. Si parla di corsa all’aperto, di consegne a domicilio, ma ancora nulla su bambini e ragazzi, per dar loro la possibilità di uscire un poco, di muoversi. Quali siano le conseguenze della pandemia per bambini e ragazzi e come gli adulti possano aiutarli ad affrontarle, lo abbiamo chiesto allo psicologo Piero Cavaleri, docente a contratto presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium e didatta ordinario presso la Scuola di specializzazione in Psicoterapia dell’Istituto di Gestalt HCC Italy. Piero Cavaleri è anche il presidente dell’associazione “Più città” di Caltanissetta.

 Questo fermo avrà conseguenze sullo sviluppo dei più piccoli e degli adolescenti? Quali sono (se ci sono), secondo lei, le conseguenze di questa situazione sulla loro crescita?

«Occorre prima soffermarsi su una premessa di fondo. Uscire da casa, andare per spazi aperti, stare in mezzo alla natura, fare attività fisica e sportiva, durante l’età dello sviluppo, non è solo una scelta fra le tante possibili, ma va considerata una necessità primaria. Nella fase della crescita la dimensione corporea assume per ogni soggetto umano una particolare e specifica rilevanza. In questo periodo della vita, infatti, il corpo è soggetto a poderose e radicali trasformazioni, che minano non poco la percezione di sé, il senso della propria identità, la propria stabilità emotiva e la propria sicurezza sociale. Fare attività fisica è il modo migliore per “appropriarsi del corpo”. Tutto ciò assume un valore prezioso quando occorre aprirsi alle nuove trasformazioni accrescendo la propria autostima. Avere cura del proprio corpo entrare in familiarità con esso migliora il proprio senso di sicurezza e di auto-accettazione, favorisce i processi di socializzazione e di apertura agli altri, in un passaggio molto delicato della vita nel quale al loro giudizio si attribuisce una estrema importanza. Se questo vale nelle situazioni di “normalità”, vale ancora di più quando ci troviamo di fronte a bambini o adolescenti che presentano problemi di particolare gravità, come la disabilità, nelle sue varie forme, o pregresse sofferenze di natura psicologica o, ancora, situazioni di abuso intra-familiare. Il fatto che le autorità governative nazionali e regionali, nello stabilire le nuove regole sul distanziamento sociale, non abbiano espresso un serio sforzo per garantire una qualche attenzione specifica ai soggetti in fase di sviluppo, dimostra ancora una volta con quanta distratta superficialità questi ultimi vengono trattati nella nostra società, esponendoli poi a conseguenze che non possiamo in alcun modo prevedere. Detto questo, è opportuno fare anche considerazione di altro genere. Le nuove generazioni, molto più di quelle passate, sono nate e cresciute in un contesto culturale dominato dall’assoluta idolatria della scienza e della tecnica, della cui onnipotenza è possibile partecipare attraverso il possesso e l’uso dei più diffusi strumenti tecnologici e informatici. Tutto ciò ha fortemente alterato il rapporto fra le nuove generazioni e il senso del limite che da sempre grava sulla condizione umana. Sicché le nuove generazioni risultano oggi particolarmente fragili e incapaci di rispondere in modo adeguato alle tante frustrazioni, ai molteplici fallimenti, alle numerose restrizioni che la vita continua a imporre, nonostante gli abbagli e le promesse della tecnica. Il fatto che la pandemia abbia imposto delle pesanti restrizioni può costituire per le nuove generazioni una straordinaria opportunità, una sorta di “laboratorio educativo”, attraverso cui trarre preziosi apprendimenti. Uno di questi, ad esempio, riguarda l’importanza che nella vita rivestono gli altri ed esperienze umanizzanti come la solidarietà, la cooperazione, l’inclusione. Si tratta anche di apprendere cosa significhi adattamento creativo, resilienza, assunzione di responsabilità di fronte all’imprevisto, alla realtà che non può essere controllata, all’insicurezza e alle paure che essa genera. Ma affinché le restrizioni si tramutino, per le nuove generazioni, da opprimente limite in preziosa opportunità di crescita è fondamentale il ruolo degli adulti e le “visioni” che essi sono in grado di narrare».

Come ci si dovrebbe comportare di fronte a queste particolari fasce d’età? Quali comportamenti, cioè, dovrebbero mettere in atto i genitori e gli insegnanti…

«Per bambini e adolescenti ogni evento che la vita riserva, per quanto imprevisto e doloroso possa rivelarsi, assume significati diversi in base alle reazioni degli adulti. Soprattutto se questi adulti sono i genitori, le figure parentali più prossime, o presenze di rilievo come gli insegnanti. Per avere una idea di ciò di cui stiamo parlando, può essere utile ricordare il capolavoro di Roberto Benigni, “La vita è bella”. In questo film siamo di fronte ad una tragedia assurda e disumana (l’internamento in un campo di concentramento nazista), ma l’amore e la delicata sensibilità del padre verso il piccolo figlio hanno il potere di trasformarla in una straordinaria avventura a lieto fine. Come dire che non è importante ciò che accade, ma il modo in cui lo si vive, come lo si rappresenta a sé e agli altri, la prospettiva di umana speranza con cui lo si attraversa, l’attenzione all’altro (debole, fragile, impaurito) con cui si sta condividendo l’esperienza. Al di là della “favola” cinematografica di Benigni, resta il fatto che la sua “morale”, oggi più che mai, vale anche per noi, per quanto stiamo vivendo e condividendo con i nostri figli, nipoti, alunni. Ciò che è importante per bambini e adolescenti, chiusi nelle loro case, non è tanto sapere con esattezza ciò che accade fuori e quali conseguenze può avere per loro e per i loro cari, quanto piuttosto “come” mamma e papà, insieme agli adulti di riferimento, stanno vivendo l’improvvisa emergenza. Questi adulti, che fanno parte della loro vita, sono positivi e hanno una visione fatta di speranza? Sanno gestire, condividere e dare un nome alle loro emozioni senza farsi da esse travolgere? Sono resilienti, sanno cioè reagire in modo costruttivo e creativo alle varie difficoltà che l’emergenza crea in famiglia, a scuola, nel mondo esterno? Sono in grado di “filtrare” in modo critico la valanga di notizie che si abbattono attraverso i mezzi di comunicazione, schermando e proteggendo dalla cattiva informazione? Al di là di questa sfilza di interrogativi, che possono comunque contribuire ad orientarci, penso sia di fondamentale importanza che gli adulti aiutino figli e allievi a riscoprire la centralità insostituibile delle relazioni umane. Senza demonizzare scienza e tecnica, occorre che le nuove generazioni scoprano, nel frangente drammatico dell’emergenza, quanto sia importante l’altro, la sua compagnia, la sua presenza, la sua solidarietà. La civiltà del consumo e della competizione ha trasmesso ai più giovani l’idea della inaffidabilità dell’altro. L’immobilità imposta dalla pandemia è l’occasione per aiutarli a scoprire quanto potente sia il farmaco della condivisione e come essa sia la più grande risorsa alla quale l’umanità, in ogni epoca e ad ogni latitudine, ha attinto per affrontare e superare le sue più difficili crisi. Tutto questo è possibile insegnare a figli e ad allievi, se gli adulti trovano il tempo e la pazienza per ascoltarli, per raccontarsi e sentire i loro racconti, per condividere ed elaborare insieme le proprie emozioni, a cominciare dalla paura. Molti ragazzi, in queste settimane di ritiro forzato, sono depressi, soli, confusi, pur stando di continuo a contatto con genitori e insegnanti. Non basta per gli adulti essere fisicamente (o virtualmente) presenti, occorre esserlo anche con la disponibilità psicologica e affettiva, posponendo ogni cosa all’ascolto e alla condivisione. I bambini e gli adolescenti spesso si annoiano, si ritirano nelle loro stanze, si isolano con i loro tablet perché non hanno meglio da fare e non hanno per sé la disponibilità di una presenza adulta accogliente, sensibile, attenta, pronta a reinventarsi e a creare qualcosa per dare vitalità ed energia all’esperienza di “essere insieme”. Insomma! C’è da prendere atto che questi giorni sono un’occasione da non perdere per imparare a stare con i nostri ragazzi in un modo rinnovato, per vederli con occhi nuovi e per sperimentarli da una prospettiva relazionale più sensibile, attenta, e perché no, “incantata”».

 

 

 

 

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