23 Novembre 2024
L'opinione

«Bisogna seguire i consigli degli esperti»: intervista a Maria Amato Campanile

Maria Amato Campanile (foto tratta da Facebook)

L’emergenza sanitaria da coronavirus stimola una serie di domande da porre a diversi soggetti, dagli scienziati ai medici e alla gente comune, assillata anche dai problemi economici del quotidiano. Ci siamo chiesti allora come vive questo periodo chi, per la sua saggezza, ha visto l’Italia rialzarsi dalla guerra, dalla dittatura fascista e dalle crisi che hanno caratterizzato il secondo dopoguerra. Maria Amato Campanile, classe 1930, ci ha detto molto e ci ha offerto spunti di riflessione con l’acume che sempre la contraddistingue. 

Come stai? Come vivi, in questo periodo? 

«Sto abbastanza bene, malgrado la difficile evenienza, perché cerco di non farmi vincere dall’ansia, dal timore, dall’angoscia, malgrado il dolore per tante morti e la difficoltà che ancora persiste, nel trovare un rimedio a questo flagello. Sono abituata alla solitudine da quando le mie figlie si sono sposate e in seguito quando mio marito è venuto a mancare. Ho sempre riempito le mie giornate col pensiero di tutti loro, con le letture, la musica, coltivando i tanti interessi e le curiosità che ho sempre avuto. Ho la fortuna di vivere in una casa circondata da un giardino e mi sento fortunata, in questo periodo di forzata clausura, perché posso farmi rasserenare dalla natura. Accanto alla mia, c’è la casa di mia sorella, che mi aiuta per tutti i miei bisogni. Mi servo dei sussidi che ci offre la tecnica per aggiornarmi su quello che accade nel mondo e accrescere le mie conoscenze, per tenermi in contatto con i miei cari, gli amici».

Partirei da una considerazione sul racconto mediatico di questa pandemia. Dai discorsi televisivi ma anche dagli articoli di giornali e riviste, si evince come per raccontare l’emergenza sanitaria si usi un linguaggio ricco di metafore di guerra: “medici in trincea”, “questa è una guerra contro un nemico invisibile”, eccetera. Ricordo che il tuo anno di nascita sia il 1930 e quindi, la guerra l’hai vista veramente. Secondo te, è questo il linguaggio adatto per raccontare la pandemia? Perché? Potresti anche tracciare, in base alla tua esperienza, le analogie e le differenze tra la situazione che hai vissuto negli anni Quaranta e quella che stai vivendo oggi? 

«Guardo i notiziari, le inchieste e una volta seguivo anche i dibattiti, che ormai ho abbandonato perché grondano di insulti, malevolenza, falsità così evidenti che mi fanno stare male. Riguardo alla comunicazione: sappiamo tutti che esiste una lottizzazione RAI – Mediaset ognuna con orientamento particolare e quindi so come considerare le informazioni confrontandole con la lettura dei giornali. Alcune emittenti informano sull’andamento dell’epidemia, altre seminano dubbi, incertezze, paure, insofferenze, sfiducia nell’operato del governo, parlano di guerra. In effetti non tendono alla ricerca di metodi per contenerla o curarla, ma approfittano della situazione per chiedere a gran voce, sistematicamente, la caduta del governo (si fidano dell’acquiescenza di una massa continuamente distratta dagli imbonitori). Io che ho subito la propaganda fascista tendente all’odio per “gli altri da noi” che ha portato all’Olocausto e alle varie guerre, fino all’ultima, so riconoscere il tentativo di suscitare il clima di disprezzo, insofferenza, paura e alla fine l‘odio, per  ottenere il consenso per “i pieni poteri”. Quella guerra che ha devastato il mondo, ci ha aperto gli occhi, siamo riusciti “Liberandoci” dalle falsità, a creare una convivenza, e la data del 25 Aprile lo ricorda anche ai “distratti”. Per non soccombere esercitiamo le facoltà del nostro cervello, il discernimento. Da una guerra se ne esce quando i contendenti sono esausti e tutto è distrutto, invece da questo morbo il mondo può uscirne se diamo agli scienziati la tranquillità e il rispetto per il loro lavoro, accettando le regole di prudenza che ci suggeriscono.

Mi si chiede come si può raccontare: ricordando tutte le epidemie che l’umanità ha sopportato quando non c’era alcuna conoscenza medica. Boccaccio, per esempio, narra nel Decamerone che alcuni giovani per sfuggire alla peste si erano ISOLATI e trascorrevano il tempo inventando delle storie. Noi abbiamo gli scienziati; la TV; i cellulari; i tablet per comunicare col mondo intero e facciamo tante storie invece di inventarcele per sopportare con intelligenza e per uscire al più presto a “rivedere la luce”».

All’inizio di questa pandemia, si ripeteva, come un mantra, che a morire erano gli anziani e le persone con patologie pregresse. Dopo, anche in seguito alla vergogna che proviamo tutti di fronte a quanto accaduto nelle RSA, il racconto collettivo è cambiato. Diciamo che ci siamo un po’ tutti resi conto di quanto incivile e profondamente offensivo fosse questo discorso. Posso chiederti cosa hai provato nel sentire e leggere queste cose e come si può definire una società che non tiene in adeguata considerazione chi ha età e quindi esperienza? Anche alla luce del fatto che a tirare le redini spesso sono i nonni, che tengono i nipoti, che mantengono, con le pensioni, un po’ tutta la famiglia… 

«Riguardo agli anziani: da tempo c’è una insofferenza nei loro confronti, sono rami secchi che non servono più, Matusa, vecchi noiosi. I giovani debbono lavorare per loro che non si decidono a lasciare il posto (anche se spesso mantengono tutta la famiglia, aiutano le donne che lavorano custodendo i bambini). Ho sentito questo discorso molti anni fa, quando ero giovane, e me ne sono sempre dispiaciuta perché ho avuto per loro tanto effetto, considerazione, ammirazione per quello che avevano saputo fare. (In questi giorni si è ricordata l’epidemia della Spagnola e mia madre mi raccontava come lei e la sua famiglia ne erano venuti fuori. Quando nelle statistiche è apparso che la mortalità era più frequente negli anziani, molti statisti (?), tra cui il primo ministro inglese, hanno detto che sarebbe stata una salutare evenienza (poi si è ammalato anche lui, ma essendo più giovane e ministro, è guarito) ed ora almeno, non lo dice più».

Sulla base della tua esperienza di vita vissuta, cosa ci consigli per affrontare al meglio questa emergenza sanitaria?   

«Il mio consiglio l’ho già espresso parlando della guerra: seguire i consigli degli esperti e per i bambini non traumatizzarli con paure e discorsi di sfiducia, ma cercare di spiegare loro con parole semplici e chiare quello che sta succedendo: sono in grado di capire. E non riprenderli mentre piangono perché non possono uscire (ho visto due di questi impietosi video dove il padre o addirittura una maestra continuano a dire: non puoi uscire, senza spiegare il perché). E’ necessario, ora che si sta tutti in casa, far loro sentire il calore degli affetti, spesso trascurati per mancanza di tempo, raccontare delle storie, farli giocare, disegnare, costruire, coltivare la creatività».

 

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Un pensiero su “«Bisogna seguire i consigli degli esperti»: intervista a Maria Amato Campanile

  • Una donna intelligente e coraggiosa che ha saputo infondere coraggio agli altri e soprattutto alle bambine… che ha educato.

    Grazie mamma!

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