Gli epitaffi d’arte di Sillitti e Foresta. Una nota di Leandro Janni
Riceviamo e pubblichiamo una nota del presidente di Italia Nostra Sicilia, Leandro Janni, sulle recenti manifestazioni artistiche che si sono svolte in centro:
«Gli artisti, si sa, sono sensibili. Intuitivi. E forse persino profetici. Insomma, essi avvertono prima degli altri ciò che accadrà. O meglio, vedono più lucidamente, rispetto ai comuni mortali, ciò che sta accadendo. Cosa hanno in comune, cosa lega i due progetti d’arte contemporanea “Aperta-mente” – di Carlo Sillitti, e “Pace Nostra” – di Alberto Antonio Foresta?
Essi hanno in comune un luogo in disfacimento: ovvero il centro storico di Caltanissetta. Un luogo e i suoi spazi. In disfacimento. Se l’arte contemporanea è, generalmente, una “catastrofe da camera”, in questi due peculiari casi la catastrofe è esterna (un esterno ormai claustrofobico – però). Gli interventi artistici esprimono, in qualche modo, uno spirito intimo. Domestico. Ma non rassicurano. Anzi! Le due di-sperate operazioni di “trasfigurazione” dell’esistente, dei nostri Sillitti e Foresta, generano inquietudine. Così come certe maschere, o certi tatuaggi. Il fatto è che sotto la pelle, sotto le citazioni pittorico-letterarie in forma di codice miniato, o sotto gli evocativi stracci colorati “sull’onda”, c’è un corpo morto. Il corpo morto – “moribondo” – della città. E forse persino di una civiltà.
E hai voglia a parlare di “ri-generazione” se non c’è comunità, se non c’è un’idea di città. Se non c’è un progetto per la città. E poi, non c’è niente da fare: la “struttura” ha le sue leggi, le sue regole e i suoi tempi. La “sovrastruttura” è importante, ma da sola non basta. E comunque, non c’è “urbs” senza “civitas”. Ma l’arte, come sempre, è la menzogna che ci permette di conoscere la verità. Quantomeno».
La nota di Janni stimola una riflessione: oggi, parlare di struttura e sovrastruttura come entità separate è ancora utile ad un’analisi dello scenario che stiamo vivendo?
“La nota di Janni stimola una riflessione: oggi, parlare di struttura e sovrastruttura come entità separate è ancora utile ad un’analisi dello scenario che stiamo vivendo?” scrive Marcella Geraci. E la ringrazio per aver colto la provocazione. Ma chi interviene, adesso?
Mi pare che autori e opere non abbiano sufficiente rilevanza, in questo testo, quasi come comparse in una riflessione che guarda ad altro, rischiando di risultare scontata.
Mi sembrano ridotti ad espediente retorico per rimarcare, come in un circolo vizioso, i soliti concetti asfissianti sul contesto: città morta; non c’è città; io esisto; niente comunità; niente progetto; non vi illudete; non c’é speranza.
Mi rimanda un po’ alle lamentele per gli spazi rimasti vuoti nelle saracinesche dipinte da uno dei due artisti, per esempio.
Prima di me qualcuno ha giustamente già avvertito si tratti, invece, di “delicate operazioni” e soffocarle in nuce è facile. Basta togliergli la scena.
Bisogna viverlo come “sprone”? Probabilmente sì, ma trovo molto più stimolante guardare le reazioni di chi passa e ammutolisce, o sorride, meravigliato alla loro vista.
Che è buon segno. Certamente il più serio ed efficace