L’incoerenza ingenua. Marina Castiglione sullo spuntino in strada di sindaco e sottosegretario
Sull’episodio immortalato dalla foto che ritrae il sindaco di Caltanissetta Roberto Gambino e il sottosegretario ai Trasporti Giancarlo Cancelleri mentre sostano, in piena zona rossa, davanti a un panificio e mangiano in compagnia di altre persone, abbiamo scelto di pubblicare il commento di Marina Castiglione, docente di Linguistica italiana all’Università di Palermo ed ex assessore alla Cultura del Comune di Caltanissetta.
«Crediamo ancora di vivere nel secolo scorso, quello che si aprì con il pensiero positivo e portò alle grandi scoperte scientifiche e tecnologiche. Abbiamo sperato in un neoumanesimo che sapesse conciliare pensiero e giusto ordine sociale, sistemi politico-culturali inclusivi e democratici. Prendiamo atto che, viceversa, siamo piccoli spettatori e piccolissimi protagonisti di un nuovo corso, in cui persino pensiero e parola viaggiano su strade parallele. E non c’è ideologia o macchinazione occulta: soltanto inconsapevolezza e incoerenza ingenua (etimologicamente).
In onore ai miei studenti che costruiscono schemi e teorie sull’uso di scilicet, mappano le strategie argomentative tra scritto e orale, verificano le interazioni in sede giudiziaria dei più importanti pentiti, mi accingo a fare una piccola analisi testuale di tale sconnessione.
I fatti: in epoca pandemica la città di Caltanissetta è, su giusta richiesta del sindaco, zona rossa. Appelli sui social a volte accorati, a volte disfemici, a volte paternalistici, redarguiscono la popolazione ad evitare assembramenti, incontri, uscite ingiustificate. Nella disorganizzazione del piano vaccinale i soggetti fragili (i fortunati che sono riusciti ad avere una prenotazione o si sono presentati senza neanche quella per l’estenuazione della procedura), ridossati in un piccolo spazio all’addiaccio, non vengono risparmiati: loro la responsabilità se non trovano parcheggio e non rispettano l’orario. Vanno sanzionati e le loro auto rimosse. Siamo in guerra e ciascuno deve fare la sua parte. Si recupera persino un antico mezzo per emanare il bando prescrittivo: la macchina megafonata in giro per le vie cittadine, con il messaggio del sindaco che ricorda di rispettare le regole.
Giorno 26 una foto mette in discussione l’accordo tra la parola e l’azione. Il sindaco insieme ad altre persone mangia gustosamente un panino a ridosso di un panificio tra sorrisi compiaciuti. Possibile in zona gialla, redarguibile in zona arancione, vietato in zona rossa. Ma in città è giunta un’autorità e ogni cautela viene messa da parte per inneggiarla. Poco dopo scattano le proteste sui social, con conseguente ritiro della foto gaudente e messaggio di scuse.
Il messaggio è, testualmente, la prova di una forse ancor più preoccupante incoerenza:
(1) «a volte la stanchezza e la velocità giocano brutti scherzi». L’uso dei modi di dire potrebbe essere più attento. Nessuno scherza: scuole chiuse, situazioni economiche familiari al tracollo, aumento del disagio psicologico. Siamo tutti dentro un turbine di stanchezza e ciascuno si carica le proprie responsabilità, tra confusione e paure.
(2) «una foto non può cancellare il lavoro svolto». Certo, la foto è prova materiale del fatto, ma non è la foto che dovrebbe impensierire il sindaco, ma il fatto in sé. Mentre a tutti i cittadini vengono chiesti comportamenti responsabili da ormai un anno, mentre si chiudono le attività commerciali perché a nessuno piace comprare un cornetto e mangiarselo a casa da soli, mentre la città piange uno dei suoi imprenditori più audaci, semplicemente quell’incontro festante con un panino consumato tutti insieme, in un’area interdetta dalle attuali disposizioni, andava evitato.
(3) «Non mi aspetto questi attacchi gratuiti»: infatti, non avrebbero dovuto essere gratuiti. Tutti i partecipanti avrebbero dovuto pagare un’ammenda, come qualunque altro cittadino sorpreso nello svolgimento della stessa attività.
(4) «Chiedo scusa se ho turbato la sensibilità»: qui non si tratta di turbare (commuovere, emozionare, impressionare, colpire, ecc.) la sensibilità, ma di aver fatto un torto alla ragione.
Ed è proprio la ragione (non l’avere ragione) quella che ieri è mancata, come è mancata ancora una volta la giusta argomentazione anche nel porgere le scuse. Ma deve essere una ingenuità comune».