Caltanissetta ai tempi del coronavirus. Di Angelo Emanuele Parisi
Riceviamo e pubblichiamo queste considerazioni di Angelo Emanuele Parisi:
Caltanissetta ai tempi del coronavirus. Sospesa in aria come una particella isolata da un’emulsione sconosciuta e globalizzata: se si potesse fare uno scatto fotografico tridimensionale della città così come appare, la scena probabilmente sarebbe quella surreale (ma a questo punto non irreale) di un film che parla di sopravvissuti nella fase iniziale di una pandemia. Non è stato il battito d’ali di una farfalla cinese a causare tutto questo ma più probabilmente quello di un pipistrello. La mutazione non è arrivata fino a qui, la paura invece sì: nel cuore collinare e assetato della Sicilia il castello delle donne sta pian piano richiudendo dentro le sue mura protettive l’anima diffidente e conservativa che ha sempre avuto. Tutto è cambiato. Pochi gli abitanti per le strade o per negozi, gli impiegati chiusi negli uffici con le mani igienizzate, i commercianti sull’uscio dei loro negozi ad aspettare non sanno neanche loro cosa. Agli anziani sigillati in casa riaffioreranno forse gli antichi incubi del suono delle sirene quando, durante la loro infanzia o la loro adolescenza, al suono dell’allarme, dovevano precipitarsi dentro i rifugi antiaerei: rimanevano lì, seduti per terra a raccontarsi le storie, senza potere mettere il naso fuori e senza sapere quando ne sarebbero usciti. Adesso invece stanno comodi, seduti sul loro divano a guardare la televisione e al posto della sirena che scandiva gli allarmi ora ci sono i messaggi di Whatsapp dei figli: se tutto va bene potranno anche vedere i nipotini in diretta. Nipoti che stanno chiusi dentro la porta di casa loro e che cercano di passare il tempo come meglio credono: qualcuno studia attraverso un computer collegato con altri compagni e con l’insegnante, qualcun altro passa ore intere sui social esorcizzando inconsapevole la paura che ha percepito dai discorsi dei suoi genitori. I bambini dentro casa e i mandorli in fiore nei campi: al candore degli uni fa richiamo il biancofiore che annuncia la primavera e la fine del freddo anche se il freddo non c’è mai stato. Così ognuno di noi è un tenente Drogo. Ognuno aspetta un nemico che non vede e che forse (speriamo) non arriverà mai. Ognuno osserva dalla propria postazione il deserto e l’aridità che porta dentro sé stesso, in silenzio. A proposito scrive Dino Buzzati: “Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani; che se uno soffre il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l’amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita”. L’atavica sonnolenza potrebbe dunque mutarsi in agonia: la realtà lì fuori è cambiata e come nelle più emblematiche delle trasformazioni gattopardiane, nulla sarà cambiato dentro di noi. Poi finalmente un giorno i bambini potranno uscire dal castello delle donne e torneranno nelle loro scuole: a loro tutto sembrerà uguale a prima perché, come nella più incredibile delle trasformazioni umane, saranno loro ad essere cambiati in meglio.