Derry ai tempi del coronavirus. Ne parliamo con Vincenzo Campo
Ventisette anni, originario di Caltanissetta, Vincenzo Campo è laureato in ingegneria elettrica e vive a Derry, nel Regno Unito (Irlanda del Nord), città resa celebre dal Bloody Sunday del 30 gennaio 1972. Vincenzo ci racconta come vive l’emergenza da coronavirus.
Intanto, ti chiederei come sono state accolte le dichiarazioni di Johnson…
«Sembra stia affrontando il problema con un po’ di leggerezza. Le sue dichiarazioni hanno preoccupato non poco gli italiani che vivono in tutto il Regno Unito. È stato anche preoccupante in settimana fare disputare l’incontro di Champions League a porte aperte Liverpool – Atletico Madrid e permettere anche l’arrivo a cuor leggero di numerosi tifosi spagnoli. Il che, probabilmente, dà l’idea di come Boris Johnson stia sottovalutando il problema. La speranza è quella che anche qui vengano prese delle misure di prevenzione più drastiche al fine di non ritrovarsi nella stessa situazione in cui si trova l’Italia attualmente, se non addirittura peggiore, considerato che la sanità italiana ha sempre rappresentato un’eccellenza a livello mondiale».
Il coronavirus è già arrivato a Derry e come? Ne avete sentito parlare, ci sono contagi, stanno predisponendo misure…
«Parlando della città di Derry ancora non si hanno informazioni dettagliate, ma nell’Irlanda del Nord al momento si parla di 29 casi di coronavirus registrati sui circa 580 casi con 10 decessi in UK e di circa 120 con 1 solo deceduto considerando l’intera isola irlandese.
Quando il problema coronavirus era confinato solo in Cina ed in qualche stato asiatico come la Corea del Sud, il Giappone e la Thailandia le emittenti locali ne parlavano come una notizia qualunque, ma da un mese, da quando in Italia ci sono stati i primi casi, se ne sente parlare continuamente.
Sebbene se ne parlasse tanto, solo nell’ultima settimana qualcosa da queste parti si è mosso in termini di prevenzione dal Covid19.
Infatti dalla parte UK si parla di provvedimenti per prevenire l’ammassamento di un gran numero di persone, come per esempio la cancellazione di partite di calcio, concerti o addirittura inviti a evitare l’uso del trasporto pubblico.
Ben più drastiche per assurdo, basti vedere i dati numerici in Irlanda nettamente inferiori a quelli della “perfida Albione”, sono state le misure di prevenzione comunicate dal Primo Ministro irlandese Leo Varadkar, le quali prevedono la chiusura di tutte le istituzioni culturali statali (scuole, università, biblioteche) e la cancellazione degli eventi pubblici con più di 100 persone all’interno e con più di 500 persone all’esterno, fra cui le varie parate di Saint Patrick.
Tuttavia, almeno per il momento, né in terra britannica né in terra celtica si parla di chiusura imposta per i pub, per i ristoranti e per i negozi vari».
In giro c’è gente? La vita si svolge normalmente?
«Fin ora qui la vita sta procedendo regolarmente al momento, visto che non ci sono misure di prevenzione particolari per quando concerne la quotidianità.
Tuttavia da qualche giorno, sentendo le notizie alla radio e leggendo sugli smartphone, le persone cominciano a preoccuparsi che fra qualche settimana qualcosa potrebbe cambiare.
Infatti nell’ultima settimana, anche qui si sono cominciati a vedere i supermercati svuotati di beni di consumo di prima necessità quali pane, pasta, carne, biscotti e latte.
Parlando da un punto di vista personale, viste le notizie poco rassicuranti che mi arrivano dall’Italia, al momento ho ridotto drasticamente la vita sociale ai pub, le milonghe tanghere e gli spostamenti, seppur minimi con i vari mezzi pubblici, e, nel mio piccolo, a rispettare, ora più che mai, le norme igieniche.
Inoltre, da siciliano vero, in vista di probabili tempi duri, non mi faccio mancare una sostanziosa riserva di farina, lievito, pasta, olive ed acciughe».
Qual è l’atteggiamento che prevale nei confronti del coronavirus e dell’Italia, che una delle nazioni più infette? Credi che l’atteggiamento nei confronti di voi italiani che vivete lì sia cambiato e perché?
«Lavorando tutto il giorno con la radio accesa, quando si parla di coronavirus il riferimento va quasi sempre all’Italia. Del resto non può che essere così visti i numeri dei casi, i numeri delle vittime, le varie misure precauzionali prese e, ovviamente, la distanza da qui.
Dal punto di vista personale, a Derry, con le persone che conosco ed i colleghi di lavoro sono rimasto negli stessi rapporti che avevo anche prima della diffusione del Covid19 in Europa.
Ci sono le classiche prese in giro e sfottò molto amichevoli in quanto italiano, dovuti anche a cercare di stemperare un po’ la tensione. Anche confrontandomi con qualche italiano qui, non si rilevano atteggiamenti ostili.
Si registra qualche ostilità sugli italiani per quel che concerne i controlli effettuati negli aeroporti internazionali. Ciò accade anche per gli italiani che non per forza vengono dall’Italia, ma in quanto tali, visti un po’ come una minaccia per la salute pubblica».
Posso chiederti quando sei stato l’ultima volta a Caltanissetta e se hai avuto problemi a rientrare a Derry a causa del coronavirus?
«Ho avuto la fortuna di essere stato a Caltanissetta sia per Natale che per Capodanno. Sono rientrato a Derry i primi giorni di gennaio, quando il problema si pensava confinato solo ad Oriente, per cui in tempi ancora non sospetti. Per cui non ho affrontato controlli particolari».
Avresti problemi a partire da Derry per arrivare qui a Caltanissetta? Ti farebbero partire?
«Sarei dovuto scendere per la Settimana Santa, ma l’azienda dove lavoro mi vieta la trasferta in Italia e, anche se forzata, è una scelta mia al fine di salvaguardare la mia salute e quella altrui. Infatti usufruire di un mezzo pubblico come l’aereo in questo momento potrebbe rilevarsi deleterio per contrarre il virus e diffonderlo».
Come ti senti in questa situazione, ad avere la famiglia in uno dei paesi più colpiti e che notizie ricevi da qui?
«Mi dispiace molto che il mio Paese si stia trovando colpito da questa pandemia, sia per la salute di molte persone sia per l’economia che ne risentirà inevitabilmente sia per la mia famiglia ed i miei amici che stanno affrontando questo duro periodo. Ho la fortuna, vivendo nel terzo millennio, di rimanere in contatto a distanza con la mia famiglia tramite i mezzi di comunicazione, anche se, non nascondo, mi piacerebbe essere vicino di persona ai miei genitori ed a mia sorella Matilde in un momento delicato come questo. E, quando tutto sarà finito, anche se ci vorrà molto tempo e molti sacrifici da parte di tutti, non vedo l’ora di riabbracciare loro e le mie nonne ultranovantenni».