Caltanissetta al femminile: interventi e incontri virtuali
Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Sonia Zaccaria sull’impegno politico delle donne, permettendoci di dissentire dal messaggio finale, che forse meriterebbe di essere trattato come capitolo a sé, in tutta la sua complessità. Sonia Zaccaria è docente di Filosofia e Storia e presidente del Comitato scientifico della rivista “Studi storici siciliani”.
Sempre sullo stesso tema segnaliamo l’incontro che si terrà oggi, giovedì 18 marzo 2021, a partire dalle 17.30 alle 18.30, dal titolo “Pari e dispari, La rappresentanza non è neutra”. L’incontro è organizzato dall’associazione Onde donneinmovimento e si svolgerà proprio sulla pagina Facebook dell’associazione.
Di seguito, l’intervento di Sonia Zaccaria.
«Di protagonismo al femminile si è trattato proprio con l’ingresso della donna sullo scenario della vita politico-istituzionale italiana subito dopo la seconda guerra mondiale, mediante il suo diritto al voto, successivamente sancito, in linea di principio, dalla costituzione repubblicana. Con il diritto all’elettorato attivo e passivo che, dopo anni di dibattiti e di false aperture, era stato concretizzato nero su bianco, era arrivata la parità tra i due generi di fronte alla legge, sebbene condizionamenti di ordine culturale ed economico avessero limitato, ancora e per lungo tempo, quel diritto fondamentale.
L’articolo 3 della costituzione, ancora oggi non modificato, recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del paese».
Anche nei periodi storici precedenti la prima e la seconda guerra mondiale, compreso quello fascista (se vogliamo adottare una periodizzazione didattica) l’argomento era rientrato nell’ordine della discussione politica, ma forse solo per pregiudizio (o per calcolo elettorale come avviene in queste circostanze) non era riuscito a prendere corpo. Già nel 1912, a fronte di un suffragio universale maschile molto caldeggiato [trentenni anche analfabeti, o maggiorenni con servizio militare, o con adeguato censo], venne denegato tale diritto alle donne con votazione segreta espressa in aula; poi nel 1918 il suffragio venne esteso sempre e soltanto agli uomini maggiorenni, ed anche a quelli non maggiorenni, ma che avessero partecipato alla guerra. I fascisti, che in un primo momento – manifesto sansepolcrista – avevano previsto nel loro programma il voto politico alle donne, se lo rimangiarono alla prova dei fatti, non inserendolo né nella legge Acerbo del 1923, né tanto meno nella legge elettorale uninominale approvata nel 1925 e mai utilizzata. Emanarono una legge a favore dell’elettorato femminile per le elezioni amministrative, ma la frustrarono immediatamente con l’abolizione di ogni espressione elettorale democratica nei comuni e nelle province, attraverso la nomina di podestà e presidi che sostituirono i consigli comunali e provinciali. Solo in procinto della liberazione [gennaio 1945] l’Italia ebbe un suffragio universale maschile e femminile, con un decreto legislativo luogotenenziale emanato dal governo di Ivanoe Bonomi. Era il prodromo per festeggiare l’imminente ritorno alla democrazia dopo la sospensione delle guarentigie costituzionali operate dalle leggi <<fascistissime>> di Mussolini.
La prima elezione cui poterono partecipare le donne nell’immediato secondo dopoguerra furono le elezioni amministrative del 1946, che in Sicilia si tennero nel mese di marzo. In quella occasione non solo fu alta la percentuale di donne che affluì alle urne, ma anche quella che venne eletta nei consigli comunali. Stessa cosa accadde con l’elettorato attivo il 2 giugno del 1946 per il referendum istituzionale e per la elezione dell’Assemblea Costituente, che però non ebbe alcuna ricaduta sull’elettorato passivo. Fu eletto all’Assemblea Costituente, infatti, un esiguo numero di donne, 21 su 556 componenti, e di esso fece parte soltanto una siciliana: la calatina Ottavia Penna in Buscemi eletta per la circoscrizione elettorale della Sicilia orientale, nel Fronte dell’Uomo Qualunque. Ma nonostante la piccola pattuglia delle elette, quel giorno fu importante per tutta l’Italia. «Tra le macerie e le miserie lasciate dalla dittatura e dalla guerra, ovunque voci di politica si rincorrevano e la voglia di ricominciare era tanta» ricordano alcune testimonianze dirette di donne che si recarono ai seggi elettorali per esprimere il loro voto. Per esse fu una primavera unica, in quanto per la prima volta potevano non solo ascoltare, ma anche partecipare attivamente, alla vita politica. In quel momento le donne avevano conquistato la libertà di scegliere, di esprimere i loro ideali, le loro aspettative: quelle stesse donne che erano state escluse da molti ruoli della pubblica amministrazione [magistratura e diplomazia]; che da sempre erano state sotto la potestà di qualcuno [padre o marito]; che erano valse meno dei loro colleghi maschi [a parità di lavoro ricevevano un salario inferiore a quello degli uomini] e che non avevano avuto la parità neanche all’interno della famiglia [l’uguaglianza tra moglie e marito verrà stabilita solo con il nuovo codice di famiglia del 1975].
Quelle donne arrivarono ai seggi nel giorno fatidico con il vestito buono della festa, con i bambini in braccio, con il fazzoletto tra i capelli; emozionate ma consapevoli di entrare nella storia con un adempimento ovvio per una reale democrazia, eppure una conquista difficile, inseguita fin dai primi movimenti femministi del’900. Nei mesi precedenti al voto i partiti avevano messo in campo ogni loro risorsa. Il PCI e il PSI presentarono le partigiane, le militanti perseguitate durante il fascismo o esiliate, mentre la DC indicò esponenti dell’azione cattolica e donne legate ai movimenti popolari. Ma ritornando alle donne costituenti cinque di loro entrarono nella “Commissione dei 75” incaricata di scrivere la carta costituzionale. Le democristiane Maria Federici e Angela Gotelli, la socialista Tina Merlin e le comuniste Teresa Noce e Nilde Jotti. Tra i banchi di Montecitorio le elette formarono una pattuglia variegata ma compatta e riuscirono a realizzare una collaborazione trasversale e moderna, per l’affermazione nella Carta costituzionale dei principi basilari di parità. Ad esse va attribuito il merito di avere scardinato la struttura patriarcale della famiglia con il riconoscimento di pari doveri e diritti ai coniugi, primo fra tutti quello di educare i figli. Da ciò germogliò il seme per quell’evoluzione del diritto e del costume che avrebbe, negli anni successivi, reso possibili tante conquiste di civiltà: leggi innovative nel campo del lavoro, del diritto di famiglia e della dignità femminile [come l’abolizione delle case chiuse nel ’56 voluta da Tina Merlin]; norme sulle donne lavoratrici madri, altre norme ancora sulla parità di trattamento salariale per gli uomini e per le donne, fino a giungere al divorzio e all’aborto legalizzato. Fu un momento di collaborazione – quello della Costituente – in cui le elette, sebbene avversarie, riuscirono faticosamente ad esprimere il medesimo obiettivo: quello di ricostruire una nuova Italia.
La siciliana Ottavia Penna, d’origine aristocratica, figlia della duchessa Ines Crescimanno di Albafiorita e del barone Francesco Penna, rappresentava culturalmente la quasi generalità del suo ceto: rigidamente ancorato ai principi di dio, patria e famiglia. Ciò la tenne quasi in disparte da quella pattuglia di donne che operarono congiuntamente in ambito parlamentare e diedero l’impronta della loro presenza nei contenuti innovativi dei principi costituzionali. Essa infatti, sebbene fosse stata eletta nella prestigiosa Commissione dei 75, preferì dimettersi solo dopo pochi giorni con motivazioni che andavano nella direzione contraria all’impegno delle altre deputate: «Penso di compiere, con questo mio atto, due doveri impostami dalla mia coscienza: 1) verso la Patria, lasciando il mio posto ad un onorevole collega qualunquista, meglio preparato di me, all’alto compito di compilare il nuovo statuto italiano; 2) verso la mia famiglia, avendo tre bimbe ancora in tenera età, che richiedono le cure materne, nella lontana Sicilia». Malgrado ciò, fu una pasionaria della politica ed anche per merito suo venne costituzionalizzato il principio di uguaglianza tra i sessi nell’esercizio del diritto elettorale. La nobildonna di Caltagirone, tra l’altro, fu la prima donna in Italia ad essere candidata alla carica di Capo dello Stato nel giugno del 1946, sebbene fosse stata una candidatura di bandiera, che ottenne soltanto i 32 voti del suo partito. Come tutti dovrebbero sapere, il primo Capo «provvisorio» dello Stato – non ancora presidente della repubblica – fu Enrico De Nicola, liberal democratico, già presidente della camera prima e durante il periodo fascista, fino alle elezioni del 1924, elezioni in cui si affermò con violenze e brogli il listone governativo.
Ottavia Penna partecipò ai lavori dell’Assemblea Costituente riunita in seduta plenaria da marzo ’46 al dicembre del ’47. «Convinta monarchica aderisce all’Uomo Qualunque che la candida alle elezioni per la Costituente; poco tempo dopo di fronte a quanto definisce un vero voltafaccia di Giannini [leader di quel partito n.d.a.] a favore della Repubblica, la deputata siciliana entra nel partito monarchico. Il suo profilo è diverso da quella «piccola pattuglia» per dirla con Nadia Spano, che operò nella più alta istituzione della Repubblica Italiana». Un poco il suo atteggiamento aristocratico che rimandava con il pensiero alle donne dei romanzi di Brancati, un poco la sua cultura “donnista” più che femminista, l’avevano allontanata dalle sue colleghe costituenti, tanto da non essere stata invitata al ricevimento offerto dall’ UDI [Unione donne italiane] alle onorevoli parlamentari. «Di questa esclusione si è parlato molto a Roma, essendo apparsa frutto di una grave scortesia o ancora peggio, d’una scorrettezza». L’ostilità nei suoi confronti veniva più che altro dalla Democrazia Cristiana, forse per antagonismo politico in territorio siciliano [Don Sturzo e Scelba entrambi calatini] e si esprimeva in termini abbastanza duri. Alla parlamentare Cingolani decana delle deputate democristiane si attribuiva la frase: «Mai tratteremo con le qualunquiste». Ottavia Penna però cortese e riservata era una donna molto decisa a difendere le proprie idee con passione e rigore, e non si lasciò turbare più di tanto. «Giovanna D’Arco, l’appella il settimanale Oggi, la sua combattività diviene proverbiale, tanto che una caricatura dell’epoca la ritrae mentre passeggia in un giardino di Montecitorio con il viso corrucciato e le mani sui fianchi come chi è perennemente sul piede di guerra». Di fatto l’estensione del diritto di voto alle donne non venne digerito da una gran parte del mondo politico maschile ed anche le elezioni del nuovo parlamento siciliano del 20 aprile 1947 non diedero risultati eccellenti. Soltanto tre donne furono elette nell’Assemblea Regionale Siciliana: una nelle file del Blocco del Popolo (PCI e PSI) nel collegio di Catania Gina Mare in Poni [casalinga con la licenza elementare] e le altre due nelle fila della Democrazia Cristiana [Ines Giganti in Curella] di Licata Provincia di Agrigento di cui diventerà Sindaca negli anni ‘50 [Laureata in filologia Classica] e Paola Tocco in Verducci nel collegio di Palermo che fu anche la prima donna assessore supplente al lavoro, alla previdenza, all’assistenza sociale e sanità: era laureata in farmacia. Il fatto stesso che il cognome delle donne candidate fosse accompagnato dal cognome del marito la dice lunga sulla condizione di subalternità, anche formale, in cui esse si trovavano. Nel collegio di Caltanissetta, nelle elezioni regionali del 1947, vi fu soltanto una candidata tra le fila della Democrazia Cristiana, Giannì Vitello Lucrezia, che ebbe i più scarsi consensi tra i candidati del suo Partito. E questo ci fa riflettere abbondantemente sulle difficoltà incontrate dalle donne nell’affermazione di un nuovo ruolo sociale che le avesse visto protagoniste, in un’area geografica – la Sicilia – ma più generalmente il meridione d’Italia dove la resistenza al nazi-fascismo per ovvie ragioni era stata completamente assente. Un ruolo straordinario durante la resistenza e nell’immediato dopoguerra ebbe infatti la già accennata Unione delle donne italiane, cioè l’organizzazione di gruppi femminili e delle donne antifasciste che parteciparono attivamente alla resistenza anche con un proprio organo di stampa dal titolo “Noi donne”. Malgrado la scorrettezza di cui ho parlato, erano gruppi aperti a tutte le donne di ogni ceto sociale e di ogni fede politica e religiosa, che volessero partecipare all’opera di liberazione della patria e lottare per la propria emancipazione. Queste donne, che operarono come staffette, come vivandiere, come informatrici, durante la resistenza, ebbero anche un ruolo di combattimento simile all’altro genere, di non indifferente portata. Nell’UDI militarono, in seguito, diverse donne siciliane e nissene, ma quella che è entrata nell’immaginario collettivo della sua città per la caparbietà e la risolutezza, nonché per il suo ruolo politico [all’ARS e nel consiglio comunale di Caltanissetta] fu Letizia Colajanni.
Nell’immediato dopoguerra la Colajanni, militante della sinistra, operò a sostegno delle classi meno abbienti di Caltanissetta, proprio come Ottavia Penna, militante della destra, lo aveva fatto con quelli di Caltagirone, a dimostrare la grande sensibilità di genere nell’esplicazione dell’attività sociale verso i più umili, al di là di ogni credo politico. Come racconta Gabriello Montemagno per Ottavia Penna: «durante l’ultima guerra, di notte, furtivamente, raggiungeva le campagne del calatino e, munita di un affilato coltello, tagliava i sacchi di grano, che i baroni della zona destinavano al mercato nero. Prelevava, anche dalle proprie fattorie, carne macellata e la portava ai poveri e agli indigenti». Di Letizia Colajanni si dissero le stesse cose in quel mondo di miseria, di denutrizione e di afflizione che contornava la vita della miniera nissena. Ultimamente è stato riesumato il ricordo della sua grande umanità nel mondo della scuola, per l’iniziativa “Lettere a Letizia” che l’hanno riposta come riferimento notevole dei ragazzi e delle ragazze della sua città. Anche la Penna, in una famosa lettera indirizzata a De Gasperi del 9 Gennaio 1948, propose una grande attenzione per l’educazione dei ragazzi siciliani e fondò con padre Quinci l’associazione assistenziale <<La città del ragazzo>> tuttora operante a Caltagirone.
Letizia Colajanni non era un’aristocratica nel termine letterario della parola ma era sorella di Pompeo Colajanni, comandante partigiano della resistenza italiana con il nome di battaglia di Barbato, liberatore della città di Torino, nonché dirigente del Partito Comunista italiano. Il nonno era stato il fondatore del primo sindacato di minatori in Sicilia contro gli infortuni minerari. Tra Ottavia Penna madre costituente donna di destra e Letizia Colajanni parlamentare regionale donna di sinistra, la differenza era abissale, sia per il ruolo istituzionale da esse svolto, che per la scelta ideologica. Eppure un tratto in comune lo ebbero per la spaccatura politica vissuta in famiglia. Nella famiglia Colajanni non la pensavano tutti allo stesso modo così come nella famiglia Penna. Ottavia Penna si candidò al consiglio comunale di Caltagirone in opposizione alla sorella diventata sindaco nell’anno 1956 per la Democrazia Cristiana. Dopo la rottura con L’Uomo Qualunque di Giannini, abbandonò pressoché la politica, rifugiandosi nell’ambito nel suo paese e della sua famiglia. Letizia Colajanni rimase invece single e svolse la sua militanza quasi come un voto religioso. Mettendole insieme ho forzato volutamente la mano. Volevo rilevare che la storia di genere cui va posta maggiore attenzione non può conformarsi ai paradigmi della storia «ufficiale» e le donne di tutti i partiti politici che, molto spesso non hanno parlato una lingua comune, dovrebbero su questa lettura recuperare la loro unità».
Prof. Complimenti. Hai dato spunto ad una riflessione davvero originale. La storia scritta finora è stata scritta dagli uomini non dalle donne e su questo le donne dovrebbero cominciare a riflettere nei termini in cui hai completato l articolo. Diversamente esse rimarranno la parte residuale del mondo maschile: una donna assassinata non un femminicidio