28 Novembre 2024
Il fatto

Caterina, combattente e leader. Così Fiorella Falci ricorda Caterina Santamaria

Caterina Santamaria (foto tratta da internet)

È morta ieri, all’età di 71 anni, dopo una dura lotta contro un male incurabile, Caterina Santamaria, esponente storica della CGIL e della sinistra siciliana. Originaria della provincia di Messina, negli anni Settanta Caterina Santamaria si trasferisce prima a Ragusa, per lavorare nel PCI, e poi ad Agrigento, approdando alla CGIL come segretaria confederale, incarico che ha ricoperto fino al 2012. Fra gli incarichi ricoperti, anche quelli di segretaria generale della Funzione pubblica e della FILCEA e di componente della segreteria provinciale dello Spi, con attenzione particolare alle politiche socio sanitarie. Riceviamo e pubblichiamo il ricordo che di lei ha Fiorella Falci:

«Caterina Santamaria è stata combattente e leader delle donne siciliane, significativa ed efficace nell’orizzonte più ampio della politica di tutti e per tutti: donne e uomini, nella società, nel mondo del lavoro e nelle istituzioni. Non è facile trovare questa limpida complessità nei dirigenti politici, neppure in quelli della sua generazione, venuta all’impegno dalla stagione del ’68, che ha attraversato gli ultimi 50 anni della nostra storia.

Della combattente e della leader ha avuto una passione ed una coerenza che l’hanno resa sempre visibile e credibile, anche quando i giochi di palazzo della politica-politicante giocavano duro per soffocare la soggettività autonoma e il protagonismo delle donne. Ma soprattutto ha dato una qualità morale indiscutibile al suo agire politico, fondata su due pilastri che oggi si sono sbriciolati più delle torri gemelle: 1) la politica si fa per gli altri, per difendere e portare avanti chi da solo non ce la fa; 2) la politica è denuncia delle ingiustizie ma soprattutto capacità di proporre e di lottare per dare soluzioni ai problemi che cambino le condizioni reali delle persone e costruiscano una società migliore.

A questa antropologia della cultura e dell’agire politico ha dedicato la forza di un carattere indomabile, capace di respingere qualsiasi compromesso deteriore e patteggiamento personale, l’energia di un lavoro instancabile, capillare, sempre a contatto con le persone in carne ed ossa ed i loro problemi concreti, senza mollare la presa e la mobilitazione fino a quando almeno una parte della soluzione non si fosse riusciti ad imporla.

L’avevo conosciuta nei primi anni ’70, durante la vicenda che fece emergere la realtà del lavoro a domicilio delle ricamatrici di S. Caterina, sfruttate da padroni invisibili e intermediari rapaci per produrre in nero “ricami fiorentini” venduti a caro prezzo mentre per loro non c’erano che pochi spiccioli per ore di lavoro massacrante. Da Caltanissetta quella battaglia divenne un caso nazionale, grazie anche a L’Unità (il giornale del PCI) che mandò come inviato Diego Novelli (che sarebbe diventato mitico sindaco di Torino per oltre un decennio) e diede rilievo nazionale alla vicenda.

Caterina si appassionò a questa battaglia, si collegò con noi e andò a scovare in tanti altri paesi della Sicilia le realtà dello sfruttamento a domicilio, a Mirabella Imbaccari, in provincia di Messina e di Ragusa, e fu importante per costruire una rete di mobilitazione la più ampia possibile, che portasse il problema nell’agenda della politica regionale e nazionale, fino a scrivere le interrogazioni parlamentari da fare presentare ai deputati perché le istituzioni costruissero le soluzioni possibili e le donne che avevano avuto il coraggio di denunciare gli sfruttatori non rimanessero sole.

Il coraggio è stato sempre una delle qualità più spiccate di Caterina: il coraggio di chi non aveva paura di sfidare il potere, vicino e lontano, il coraggio vissuto come dovere morale da mettere in campo per chi lo stesso coraggio tante volte non si può permettere di averlo, il coraggio di battersi per la giustizia, a partire da chi ha sempre subito invece il peso soffocante dell’ingiustizia e della prevaricazione.

Questa capacità di individuare le contraddizioni e i conflitti di una società che si modernizzava con distorsioni mostruose, specialmente in Sicilia, e di esplicitarli con tutti gli strumenti che una democrazia che voglia essere progressiva può sperimentare, è stata la cifra della sua modernità autentica, purtroppo in stridente contraddizione con la “modernizzazione liberale” che investiva la sinistra italiana in quegli anni, e staccava la spina al rapporto con i movimenti del lavoro e dei diritti, rifugiata nel Palazzo e perdendo sempre più il legame con un popolo lavoratore che non fosse considerato soltanto base elettorale ma autentico protagonista della storia da costruire.

Caterina anche in questo è stata appassionatamente contro-corrente, alternativa, e ha cercato nel Sindacato lo spazio per un agire collettivo che continuasse a guardare e a parlare alle persone come soggetti di una storia di tutti, che soltanto insieme può dare una direzione diversa da quella pensata e diretta dai poteri.

Esemplare il suo lavoro nel pianeta-sanità, lì dove la fragilità della condizione dei pazienti viene schiacciata dalla burocratizzazione di un potere spesso protervo e senza scrupoli, negando uno dei diritti fondamentali per una società che voglia essere civile, e che lei era capace di stanare, in tutti i meandri, in tutte le trappole di una gestione politica spesso incancrenita dagli interessi colossali che intorno alla sanità si aggregano pericolosamente.

Esile come un fiore d’acciaio, con uno sguardo sfolgorante capace di esprimere anche senza parlare analisi e valutazioni, trascinatrice di chi la ascoltava, con un linguaggio tanto limpido quanto netto e senza compiacenze retoriche, Caterina è stata leader perché capace non soltanto di guardare e di capire più lontano degli altri, ma anche di organizzare, nella Sicilia più periferica e difficile, il percorso per portare più avanti e più lontano quante più possibile donne e uomini, affidando proprio alle donne il compito di guidare anche gli uomini fuori dai pregiudizi e dagli schemi, senza scoraggiarsi mai se non si riusciva, senza perdere mai, anche di fronte a tante amarezze, la speranza che prima o poi sarà possibile farcela. Anche per chi verrà dopo di noi».

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