Consiglieri e consigliere cancellano il linguaggio di genere: Onde donneinmovimento chiede un incontro
Dietro front sul linguaggio di genere adottato nel Regolamento comunale per la Partecipazione Civica. Un colpo di spugna a firma di due consiglieri comunali e ben sette consigliere donne, che vorrebbero sostituire l’espressione “cittadini e cittadine” con la parola “cittadini”, e via di seguito. A commento dell’accaduto, riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta dell’associazione Onde donneinmovimento al presidente del Consiglio comunale, Giovanni Magrì. La lettera, firmata per l’associazione da Donatella Giunta, si conclude con la richiesta di una video conferenza per entrare nel merito della questione. Il testo è il seguente:
«Nonostante un tiepido scenario generale che spesso induce ad un velo di noia, a volte la politica riserva delle sorprese. Belle. Dei guizzi di fantasia, dei moti quasi sovversivi, che, in modo più o meno consapevole, giocoforza attirano l’attenzione, incuriosiscono, inducono riflessioni o suscitano ilarità.
Il caso della richiesta di “epurazione” linguistica del Regolamento sulla partecipazione sottoscritto da un folto gruppo di consiglieri e – scusate – consigliere, è uno di questi guizzi, di quelle inaspettate notizie che, più dei dibattiti sul debito ATO o sulle manovre di bilancio, ci induce a domandarci e a domandare “perché?”.
Perché un gruppo consiliare chiede di ritirare l’emendamento (che non avrebbe avuto ragione di essere presentato, poiché è fatto onere, dalle disposizioni e direttive vigenti in materia, alle Amministrazioni di redigere atti amministrativi nel rispetto del linguaggio trasparente, comprensibile e quanto più rispettoso dei principi costituzionali tutti, incluso il genere) che prevede ove possibile la declinazione del femminile e del maschile? E perché questa richiesta formale è stata così perentoria, puntuale, granitica nell’ indicare come unico sostantivo da usare il maschile (nel caso in specie, la parola “cittadini” che, si sa, include, per unanime consuetudine, anche le donne). Perché questa sorta di irritazione?
Avanziamo una ipotesi: i consiglieri (termine che include, ovviamente, anche le consigliere) hanno a cuore l’armonia della lingua italiana e, parimenti, hanno altrettanto a cuore gli atti amministrativi della cui stesura si responsabilizzano non solo nella sostanza ma anche, com’è giusto che sia, nella forma. E in effetti, quella ripetizione “cittadine e cittadini” “studentesse e studenti”, appesantisce un testo, risulta ridondante, pedante, inquina lo scorrere delle parole su cui, a causa di quel femminile “superfluo” e di cui si potrebbe fare a meno, si inciampa. Non c’è bisogno: tanto si sa che i cittadini sono sia uomini che donne, che gli studenti sono sia ragazzi che ragazze…si sa. Che bisogno c’è di evidenziarlo causando un danno al fluire del testo ed alla sua armonia? Quindi, in fondo, potrebbe esserci un motivo squisitamente letterario, un sincero slancio accademico, alla base dell’atto del 7 luglio scorso?
Eppure no, non ci convince: gli atti amministrativi sono spesso caratterizzati da un linguaggio ridondante, con abbondante uso di circonlocuzioni, perifrasi, acronimi, inglesismi, doppie negazioni e chi più ne ha più ne metta e non ci risulta che i consiglieri si siano disperati più di tanto…
Ed allora, ripetiamo “perché?” una così singolare presa di posizione che induce la maggioranza del Consiglio Comunale a chiedere la rimozione della declinazione al femminile di termini e sostantivi peraltro di uso corrente…portandoli ad un atto di simpatica insubordinazione nel chiedere di disapplicare le norme vigenti sul linguaggio di genere in un Regolamento che, peraltro, per sua natura e sostanza, approccia anche le tematiche in materia. Hanno chiesto analogamente di epurare tutta la modulistica in cui ormai è in uso da tempo l’opzione Il/la ____sottoscritto/a____ e che risulta comunque brutta e pedante?
Questa presa di posizione, insomma, ha tutti i connotati per essere davvero singolare e incuriosire. Va controcorrente e ci piace. Soprattutto alla luce della sua semplicità a confronto dei documenti corposi e solenni, viceversa, adottati da Consigli comunali e, addirittura, regionali, come il documento del Consiglio Regionale del Piemonte redatto da una task force di autorevoli studiosi. Per non parlare del voluminoso studio in materia di linguaggio di genere della Comunità Europea così poco incline ad occuparsi di politiche che non rientrino a pieno titolo nella sua stretta competenza.
In realtà “le parole cambiano il pensiero”, come si legge nel documento adottato dal Consiglio Regionale della Regione Piemonte. Ma, prima ancora, lo generano.
Ed è questo il problema.
Proponiamo di discuterne in una video conferenza da Lei indetta a cui invitare le
consigliere e i consiglieri».