Coronavirus: il fantasma del futuro. La riflessione di Fiorella Falci
Caltanissetta ai tempi del coronavirus forse può riconoscersi nella sua autentica identità post-contemporanea: l’apnea, la sospensione dell’agire, l’attesa di qualcosa che non dipende da noi, di cui non abbiamo responsabilità.
Forse però può essere un’esperienza salutare: ci obbliga a cambiare le abitudini di una sopravvivenza truccata, sospende le scadenze sociali convenzionali, le relazioni genericamente ipocrite, i ritmi di un lavoro sempre più povero di senso, le illusioni consumistiche di una vita “occidentale” per finta.
Può scattare la dissolvenza incrociata tra il fare e l’essere, tra lo stress e il pensiero, che torna ad avere spazio e tempo per abitare la nostra mente senza venire rimosso o evitato per obbedire ad un dover essere eterodiretto dal sistema globale, che ci riserva da sempre il ruolo della periferia.
Sta soffrendo chi lavora, chi ha bisogno di un’economia che gira su un sistema di relazioni sano e produttivo, e si soffre a vedersi attraversare una città sempre più spettrale, svuotata, bloccata.
Si soffre perché la si vede morire tutto in una volta, come potrebbe essere tra 10 o 20 anni, se continua quel trend demografico che lo scorso anno ha visto a Caltanissetta solo un nato ogni due morti. Vederci morire a poco a poco fa soffrire di meno, è quasi una cura omeopatica della morte, sembra che non dipenda anche da noi, non ci richiama alla nostra responsabilità di futuro.
Guardiamolo in faccia allora adesso questo futuro possibile: un fantasma di città, svuotata, silenziosa, immobile, senza memoria e senza speranza, che alla politica ha chiesto implicitamente soltanto un’eutanasia.
Forse può essere uno choc salutare, come leggere la notizia della propria morte sul giornale del giorno dopo. Forse possiamo recuperare, tempo, spazi di pensiero, idee divergenti, azioni controcorrente, follia creativa.
Non abbiamo più niente da perdere, in ogni caso.