La gente ci diceva “welcome, welcome!” Il narratore Angelo Maddalena racconta la sua Siria
Volto noto a Caltanissetta, Angelo Maddalena si può definire un narratore dal basso di conflitti e lotte di popolo, come quelle che hanno scosso la Val di Susa, l’Algeria e Buenos Aires. Spesso i suoi viaggi approdano al teatro attraverso canzoni e monologhi oppure diventano inchieste. Per saperne di più su di lui, rimandiamo al sito www.atlanteguerre.it o al docu corto di Gabriele Perni, Mi sembra di viaggiare con te, Manuale del moderno cantastorie, di cui Angelo Maddalena è protagonista. Il docu corto è stato presentato di recente a Caltanissetta. Abbiamo chiesto ad Angelo di raccontare una delle mete dei suoi viaggi, la Siria, terra in cui approda dopo aver letto il libro di Francesca Peliti su padre Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria nel 2013.
Esistono tanti scenari di guerra e tante persone rapite. Cosa ti ha colpito del libro della Peliti? Perché e quando hai scelto di andare proprio in Siria?
«Grazie per questa attenzione che rivolgi al mio recente viaggio in Siria. Sono andato infatti all’inizio di agosto del 2023. Diciamo che ho sempre sentito il richiamo per il deserto, per l’esperienza dei piccoli fratelli di Charles de Foucauld. Un po’ di anni fa volevo andare in Algeria, a Tamanrasset, a trovare i piccoli fratelli e le piccole sorelle che abitano lì nel solco della tradizione di Charles De Foucauld, appunto. Poi sono andato in Algeria, non da loro ma nelle montagne della Kabylia, due volte tra il 2010 e il 2013. Sia la prima ma soprattutto la seconda volta ho presentato uno spettacolo che avevo scritto nel 2010, Cousins d’Algerie, frères de Kabylie, interpretato in francese in Francia, Belgio e Algeria, e anche in italiano. Per me il viaggio è sempre stato una ricerca personale che si sviluppa in forma di narrazione teatrale e anche letteraria. Poi ho trovato il libro di Francesca Peliti e ho scoperto la figura di Paolo Dall’Oglio che conoscevo molto poco, e la storia di Mar Musa, la comunità da lui fondata nel deserto della Siria, che ha sopravvissuto al suo rapimento avvenuto nel 2013 a Raqqa. Mi ha colpito molto il fatto che dopo la sua sparizione (definitiva?) la comunità da lui fondata non solo è sopravvissuta, ma lo ha fatto in mezzo a una delle guerre recenti più cruente dei nostri giorni».
Come si lega questo tuo viaggio all’attività di narratore di conflitti dal basso?
«Come accennavo prima, in Algeria ero andato per raccontare l’insurrezione dei berberi della Kabylia, un’insurrezione poco raccontata, avvenuta nel 2002, quando ancora non si era conclusa del tutto la guerra in Algeria che aveva comportato l’uccisione di migliaia di algerini a opera delle forze armate di integralisti islamici. Avevo fatto il passaporto nel 2007 ma mi avevano sconsigliato di andare per il rischio ancora alto, e avevo dovuto aspettare il 2010. Poi nel 2015 sono andato a Ventimiglia per narrare la resistenza popolare e la solidarietà dal basso nei confronti dei migranti che si erano asserragliati alla frontiera con la Francia. Lì ci sono rimasto per più di un anno e ho scritto il libro Un anno di frontiera (2018). Poi nel 2016 sono andato in Argentina per incontrare le madri di plaza de Mayo, la cui vicenda seguivo da lontano da diversi anni. Avevo scritto qualcosa nel lontano 1998 (un breve testo pubblicato sulla rivista “Alfazeta”). Insomma, la Siria mi ha chiamato attraverso un percorso di militanza ma anche di ricerca spirituale, che poi mi ha ricondotto alla militanza, perché ho scoperto che Paolo Dall’Oglio aveva fatto la scelta di schierarsi dalla parte del popolo siriano nel 2011, quando erano iniziate le manifestazioni popolari di protesta per chiedere riforme al regime di Assad. Quindi ho approfondito anche questo aspetto. Molti dettagli si trovano nel libro Welcome in Siria, surreal tour, che è in lettura presso alcuni editori».
Vogliamo dire brevemente chi è Paolo Dall’Oglio?
«Paolo Dall’Oglio (o Abuna Paolo, come lo chiamano molti siriani e come il titolo della canzone che gli ha dedicato suo fratello) è un monaco gesuita che dagli anni Settanta comincia a studiare arabo e cultura islamica. Alla fine degli anni Ottanta scopre che nel deserto della Siria, non lontano da Homs, c’è un monastero abbandonato risalente al IV secolo d.C., il monastero di Mar Musa El Alabashi, cioè San Mosè l’abissino. Decide di ristrutturarlo e di fondare una comunità ecumenica di cristiani cattolici e ortodossi aperti all’Islam. Un suo libro si intitola Innamorato dell’Islam, credente in Gesù, ma ce ne sono altri in cui racconta e spiega la sua militanza dalla parte del popolo siriano, che si difendeva da Assad a partire dal 2011. Nel 2012 Assad lo espelle dalla Siria ma lui vi rientra clandestinamente nel 2013, tra giugno e luglio, per andare a chiedere la liberazione di due preti, uno ortodosso e uno copto, a Raqqa, allora la sede dello Stato Islamico di Levante, o ISIS. Abuna Paolo viene rapito il 29 luglio e da allora non si sa nulla di lui».
Chi oggi vuole andare in zone di guerra deve seguire un iter burocratico preciso? Come hai organizzato il tuo viaggio? Quali certificati hai dovuto produrre? Sei stato soggetto a vaccinazioni particolari e con quali mezzi hai raggiunto la meta del tuo viaggio?
«La Siria ufficialmente non è più in guerra dal 2016, dagli accordi di dicembre tra la Coalizione internazionale che sostiene l’esercito libero siriano e il regime di Assad. In realtà ci sono ancora focolai e non ci sono accordi molto ben definiti. L’iter burocratico per andare oggi in Siria è un semplice passaporto e il visto. Poi, però, c’è una clausola non ufficiale, e cioè che dall’Europa, o almeno dall’Italia, è pressocché impossibile arrivare in un aeroporto siriano, quindi si deve fare scalo in Giordania o in Libano. Quindi devi fare un altro visto. Nel mio caso, ho fatto il visto per la Giordania pagando circa 75 euro. Abbiamo attraversato il confine e questo ha richiesto complicazioni burocratiche in loco che non prevedevamo: lungaggini e attese alla frontiera, in uscita dalla Giordania e in entrata in Siria. Io ho viaggiato in autobus, con un gruppo organizzato. Credo che per andare da soli la prima volta in paesi come la Siria convenga accodarsi a un gruppo organizzato. Nessuna vaccinazione ci è stata richiesta. Le persone che viaggiavano con me avevano un interesse spirituale e culturale e il gruppo era organizzato alla base dai gesuiti. Avevamo una guida siriana che, però, abita in Italia da diversi anni».
Ricordi le prime impressioni quando hai visto la Siria? Puoi cercare di ricostruire cosa hai pensato e se hai notato analogie con il nostro paese?
«La prima impressione è stata quella di vivere in un paese in guerra, perché ci hanno fatto decine di controlli ai check point, decine di controlli nel giro di pochi chilometri! E spesso erano uomini armati. Di questi dettagli ho scritto nel libro Welcome in Siria. Poi le prime impressioni sono state di una certa miseria ma anche di una grande creatività. Per esempio quello che ci voleva vendere all’ingresso di un antico teatro romano, a Bosra, le monetine, i foulard, i libri di storia della Siria o guide turistiche e altro ancora. Così come i bambini che a Damasco si portavano sulle spalle sacchi pieni di rifiuti che raccoglievano nei bidoni della spazzatura e li andavano a vendere da qualche parte. Poi però mi ha colpito l’atteggiamento di molti miei compagni di viaggio, di tipo “stranamente” turistico, dico stranamente perché era un gruppo formato da gente che pregava ogni giorno (c’era un monaco con noi che ci guidava nella preghiera quotidiana e anche la messa quasi quotidiana!). Un atteggiamento con derive deliranti di cui ho raccontato nella canzone La bolla in un paese in guerra e che meriterebbe un trattato di antropologia dell’alienazione contemporanea. Analogie con il nostro paese in generale, no. Qualche similitudine antropologica e di sapori e gusti l’ho trovata fra la Siria e la Calabria, dove abito da quasi un anno, e cioè l’uso della menta e del limone associati!»
Ci spieghi qual è la situazione economica, politica e religiosa della Siria, oggi? Magari spendendo qualche parola sull’embargo e sui suoi effetti…
«La Siria oggi vive quasi esclusivamente di beneficenza da parte delle ONG, di espedienti e di rimesse degli emigrati. La situazione politica è quella di un regime autoritario che si è probabilmente rinforzato grazie all’embargo, oltre che grazie all’appoggio della Russia e di altri paesi amici.
Per quanto riguarda l’aspetto religioso, c’è stato un dissanguamento del tessuto di minoranze religiose che sono state ridotte e quasi annientate come effetto collaterale della guerra, e nel territorio pullulano, ma non so in che misura, forze integraliste islamiste. L’embargo credo sia il principale responsabile del disastro corrente della Siria di oggi, per questo occorrerebbe alzare sempre più voci per farlo smettere».
A viaggio concluso, cosa ti rimane della Siria, e quale sarà la tua prossima meta?
«Della Siria mi rimane l’accoglienza e la generosità della gente che ho incontrato, che ci diceva sempre “Welcome welcome”. Un paio di loro mi hanno chiesto di aiutarli a venire in Europa, ho iniziato a informarmi ma dopo l’acuirsi del conflitto tra Israele e Palestina so che le difficoltà sono aumentate. La mia prossima meta sarà tornare in Siria e a Mar Musa, anche perché quando ci siamo andati noi, per una coincidenza “mistica”, erano tutti a Roma alla messa per ricordare il decennale della scomparsa di Abuna Paolo. La meta letteraria è aspettare che venga pubblicato il mio libro e poi andare in Senegal, in Brasile e in India».
Hai mai pensato che quando viaggi o fai esperienze così intense, anche la città o il paese da cui provieni assume sembianze differenti? Com’è cambiata Pietraperzia dopo questo viaggio?
«Più che la città, per me ha assunto sembianze differenti l’Italia e forse l’Europa. Mi sembra tutto più piccolo, non so come dire, più relativo. Penso che abbiamo tanto da imparare per quanto riguarda generosità, accoglienza, forza e voglia di vivere, resistere e combattere. Io non abito a Pietraperzia da un bel po’ di anni. Potrei dire cos’è cambiato nella città dove abito da alcuni mesi, cioè in Calabria, o a Perugia, dove abitavo fino a poco prima di andare in Siria. Ma l’impressione è sempre più ampia e non riesco a parlare solo di un paese o di una città, forse anche perché nell’ultimo anno ho abitato un po’ in Umbria e un po’ in Calabria. Sicuramente a Pietraperzia ho trovato una bella novità o nuova energia culturale, ma anche a Caltanissetta. Questo, però, non credo che dipenda dal mio viaggio in Siria. Voglio riconoscere all’Associazione Amici della Biblioteca di Pietraperzia il merito di avermi accolto per presentare il mio nuovo libro e il docufilm Mi sembra di viaggiare con te, nel novembre del 2023. Il 29 dicembre a Caltanissetta, nell’Atelier Carlo Sillitti, abbiamo replicato».