La sinistra che ha tradito la sinistra: gli interrogativi dello storico Filippo Falcone
Esiste per la sinistra una possibilità di ripartire? Se lo chiede lo storico Filippo Falcone, giornalista pubblicista e autore di numerosi saggi di Storia contemporanea. Riceviamo e pubblichiamo la sua riflessione in merito alla sinistra italiana di ieri e allo stato in cui versa oggi:
Dicevo qualche giorno fa ad alcuni amici di Torino, di essermi allontanato ormai da diversi anni dai partiti della sinistra (ovviamente non dall’idea). Da quando cioè chi la rappresenta in Italia ha iniziato a farsi complice della demolizione di buona parte dei diritti dei lavoratori, conquistati nel corso dei decenni con dure lotte (la sinistra italiana ha votato norme come la Legge Fornero, la cancellazione dell’art. 18, la precarizzazione del lavoro, la flessibilità, i contratti a termine, il lavoro intermittente, il precariato come regola di vita ecc.). Purtroppo, molti di questi progetti, paradossalmente, portano proprio l’incipit della cosiddetta “sinistra riformista”, con il risultato che i lavoratori non votano più a sinistra, né vi si rivolgono per le loro rivendicazioni. Insomma, le lotte della sinistra italiana sembrano per il momento archiviate.
Tutto ciò riporta con un certo rimpianto – pur non essendo io un “passatista”, dicevo a questi amici, – agli ultimi barlumi di politica sociale della sinistra, quando riusciva ancora a riempire le piazze, quando un italiano su tre votava per il Pci di Berlinguer. Quando cioè quel partito, diverso ed originale, con quel leader innovatore e solitario, preferiva stare con la gente, anziché con i potentati. Certo, era un partito, quello, anche con i suoi limiti, le sue contraddizioni, come tutti i partiti, che andava ovviamente “modernizzato”, ma era il partito in cui i lavoratori si identificavano.
Quei decenni hanno rappresentato una pagina straordinaria della sinistra italiana e negare ciò significherebbe negare la Storia recente del nostro Paese. La connotazione di quella sinistra con una demarcazione così alta di democrazia non spiegherebbe altrimenti di essere stata voce e punto di riferimento non solo dei suoi militanti, ma anche di tanti lavoratori. Così come non spiegherebbe il fatto che la scomparsa di Berlinguer abbia suscitata una partecipazione e una commozione così autentica e struggente, raramente vista prima nel nostro Paese ed oggi impensabile.
Quel tipo di Politica di sinistra è stato allora sinonimo di diversità, radicamento nella società, nell’etica, nella morale, nel confronto, ed ha arricchito profondamente chi, come me, ne ha preso parte con la militanza.
Archiviato quel capitolo – continuavo – si è anche avviato il tramonto dei partiti di massa e la desertificazione della sinistra. Di tutta quella storia oggi non rimane che l’involucro; anche se c’è ancora chi si ostina a chiamare, quella italiana, sinistra.
La crisi in cui è sprofondata in questi anni la nostra società – per responsabilità di certa finanza cannibale, ma anche per la latitanza della sinistra medesima, ha fatto perdere ai nuovi lavoratori (precari), la bussola. La concezione progressista stessa della Storia – che per tanto tempo aveva alimentato in molti di noi speranze e aspettative – è caduta miseramente, producendo un tonfo gigantesco.
Ci sarebbe davvero la necessità, oggi, – concludevo – di tentare almeno di riprendere quel filo. Di rileggere pazientemente quelle vicende umane e collettive, per cercare di capire meglio questa nostra triste epoca. Chiedersi: come si è potuti arrivare ad un punto tale… e, soprattutto, se c’è possibilità di ripartire.