«Questo dibattito referendario sulla riduzione dei parlamentari non mi appassiona per nulla». La voce controcorrente dello storico Filippo Falcone
Riceviamo e pubblichiamo una nota di Filippo Falcone sul referendum per la riduzione dei parlamentari. Filippo Falcone è stato, tra gli anni Novanta e Duemila, esponente della sinistra nissena: capogruppo dei DS alla Provincia di Caltanissetta, vice sindaco di Sommatino, componente della direzione regionale, e, infine, candidato alla Camera per la lista “Ingroia”. Lasciata la politica si occupa di studi storici. È autore di numerose pubblicazioni, ha diretto la rivista Studi storici siciliani (Consorzio universitario di Agrigento) ed è socio dell’Istituto Gramsci siciliano.
«Dico subito in premessa che l’attuale dibattito sulla riduzione dei parlamentari, in vista del referendum di settembre, non mi appassiona proprio per nulla. Peraltro lo considero anche falsato rispetto alla reale situazione politico-istituzionale del Paese: se ne discute cioè come se l’Italia si trovasse in una situazione di “normalità” democratica e parlamentare (per “normalità” intendo il concetto classico di Democrazia e di Parlamento secondo i dettami della Scienza della politica e del Diritto costituzionale). Così purtroppo non è, e spiace dirlo che questo non lo comprenda – o non lo voglia comprendere – proprio quella sinistra che, storicamente, è stata da sempre favorevole alla riduzione della rappresentanza parlamentare; almeno sino al PD di Renzi. Ma al di là di questo (legittimo è cambiare opinione, d’altronde in antichità qualcuno diceva che solo i somari non cambiano idea), il fatto più preoccupante è invece che la sinistra oggi non riesca ad andare al cuore vero della questione. Il problema cioè di trovarsi di fronte ad un’idea diffusa del declino della Politica come strumento di trasformazione della società. E questo lo si evince dal comportamento della gente, sempre più apatica ad un impegno diretto, da una partecipazione che è ormai pari allo zero, da un impressionante tasso di astensionismo, da un individualismo che non va oltre il proprio pianerottolo. E in questo quadro sta proprio la profonda crisi della sinistra, la disgregazione della rappresentanza del movimento del lavoro – ed anche di quelli che un lavoro non lo hanno – a cui nessuno da più voce. Ed ancora da come sia sempre più difficile motivare la gente a perseguire obiettivi comuni, la convinzione prevalente è insomma che nulla ci si deve ormai più aspettare dalla classe politica. Di fronte a tutto ciò crollano persino i capisaldi illuministici della Rivoluzione francese: la Libertà, l’Uguaglianza, la Fraternità, una volta elementi-guida della sinistra storica, che sembrano oggi svaniti ed inefficaci. Parlo della sinistra perché è quella che mi sta più a cuore, ma gli stessi sentimenti si nutrono, più in generale, per qualunque forma di schieramento politico. Si ha come l’impressione che non ci sia più bisogno di Politica, che sia diventata uno strumento logoro e inefficace al cambiamento delle vite reali delle persone. Si è come consapevoli che è ormai il Mercato finanziario a dettar legge, ad aver scavalcato ogni processo politico, ad averlo reso un suo prodotto collaterale, anzi un suo sottoprodotto. E così va in crisi anche lo stesso concetto di cittadinanza attiva, poiché la convinzione è che lo Status quo può procedere anche senza l’azione collettiva (lo storico inglese Eric J. Hobsbawm già qualche anno fa parlava di strada verso la “depoliticizzazione delle masse”). Tutto sembra in mano ormai ad una “minoranza” a cui non interessa la “maggioranza”. Quest’ultima, peraltro, è sempre più convinta che inefficaci siano persino i processi di mobilitazione, perché sostituiti da una sorta di populismo mediatico. La Politica ne esce insomma depotenziata, portata quasi sul piano della privatizzazione, il processo democratico completamente eroso, gestito da una minoranza indistinta e non legittimata dal voto popolare (è il quadro dell’Italia di oggi).
Sul versante dell’Economia questo lasciargli “campo libero” da parte della Politica sta producendo una società che tende continuamente a disumanizzarsi. I suoi valori più elementari, a partire da quelli della solidarietà, sembrano archiviati in nome di una sempre più invasiva finanza speculativa. I temi del “Noi” e le lotte per il domani, una volta cari alla sinistra, sembrano diventargli totalmente estranei. La sinistra pare aver rinunziato al suo ruolo storico e persino al tentativo di porre in essere un argine alle grandi ed inquietanti questioni dei nostri tempi: in primis il tentativo postcapitalistico di eliminare le forze del lavoro dai processi produttivi. Una società di questo tipo non può che produrre disuguaglianze crescenti.
In questo fosco quadro, che coinvolge a pieno anche l’Italia, mi chiedo: davvero si crede che l’esito, per un verso o per un altro, del Referendum del 20 e 21 settembre potrà migliore la vita dei cittadini? Che dal risultato si scongiurerà una possibile deriva antidemocratica? Che più parlamentari rappresentino una maggior garanzia per la Democrazia? O, dal canto opposto, che una vittoria dello schieramento populista darà vita ad una riduzione degli sprechi della Politica? Che la Politica diventerà nel nostro Paese uno strumento più efficace nelle dinamiche decisionali? Io nutro i miei forti dubbi. Mi sembra solo un voler distogliere lo sguardo dalle questioni reali ed esistenziali delle persone (il diritto alla salute, all’istruzione, alla qualità della vita, alle nuove povertà, al disagio sociale, al mondo del lavoro, al futuro per i giovani, alla sostenibilità ambientale ecc.). Mi pare un voler lasciare le questioni al loro punto di partenza.
Tuttavia, l’umanità non potrebbe vivere senza le grandi speranze di un futuro migliore, anche se i prezzi pagati alla Storia sono sempre più alti dei risultati; e questo la sinistra, nel portare avanti le sue battaglie, lo ha sempre saputo. Ma se oggi quello che di essa rimane non si riappropria dei suoi temi storici, penso che in Italia non sarà l’esito di questo Referendum a fermare un populismo che, questa volta, dilagherà inarrestabile ovunque, a macchia d’olio».
Discorso profondo, condivisibile e degno di riflessione, aggiungerei quello che disse un grande della politica, Salvatore Lauricella :” Prima di fare il politico bisogna avere un lavoro ” ! Perché oggi si fa politica per lavoro, cadendo nelle ritorsioni e divenendo schiavi della politica ! I vecchi e sani principi delle idee, della fede politica, del rispetto umano ormai non esistono più, prevalgono altri tipi di intersessi, pertanto cosa si può pretendere dalla politica ! Il peggior politico di allora è il migliore di oggi. Questo referendum confimatorio il 20 e 21 settembre non porterà a niente di buono o di diverso. Un’aternativa poteva essere, fermo restando il numero dei parlamentari, in modo da non venir meno la rappresentanza territoriale democratica popolare, il dimezzamento degli stipendi e l’abolizione di tutti quei benefici e oneri cui hanno diritto.
Per fare ciò, sarebbe bastato solo una semplice delibera dell’Ufficio di Presidenza, senza ricorrere a votazioni e ad altri iter burocratici complessi. Questo sarebbe stato un atto di umiltà, trasparenza,onestà e da esempio per tutto il popolo italiano.