Una lezione di speranza cristiana in tempo di crisi: una domanda a don Alessandro Rovello
«Fratelli miei, voi siete nella sventura, fratelli miei, voi lo avete meritato». Siamo dentro al bellissimo romanzo di Camus che Bompiani tradusse nel 1948, “La peste”. A lanciare l’anatema ai fedeli impauriti dal morbo è il gesuita Padre Paneloux, uno dei personaggi del libro ambientato ad Orano, in Algeria. Il libro mostra uno spaccato delle reazioni umane di fronte alla malattia e alla morte ed è veramente attuale, in questi giorni di pandemia. Oggi, in Italia, anche la chiesa ha dovuto attrezzarsi a dire preghiere e messe online, per non diffondere il contagio da coronavirus. Soprattutto la chiesa ha dovuto fare i conti con un senso comune diffuso, quello del Covid-19 come castigo che Dio infligge ai suoi fedeli perché mettono in atto comportamenti sbagliati. Un po’ come la predica di Padre Paneloux nel romanzo “La peste”. Già alla fine del mese scorso, l’arcivescovo emerito di Milano, cardinale Angelo Scola, aveva contribuito, sulle colonne del quotidiano La Repubblica, a sfatare quella che si può definire una vulgata popolare che emerge ogni qual volta ci si trovi davanti ad eventi di questa portata. Questa visione di Dio che punisce appartiene ancora oggi al Cristianesimo? Abbiamo fatto a padre Alessandro Rovello, parroco della parrocchia san Domenico in Caltanissetta ed esperto di Teologia morale, la seguente domanda:
Come già successo in altri tempi funestati da calamità o epidemie, serpeggia tra le persone una certa convinzione e cioè che il flagello (in questo caso il virus) sia mandato da Dio per punire gli uomini per il loro stile di vita, il loro comportamento. Queste posizioni sono compatibili col pensiero cristiano o non gli vanno invece contro? Don Alessandro ci ha risposto così:
«So che il mio pensiero potrebbe risultare “controcorrente”, ma vorrei raccontare in questo breve intervento ciò che ho imparato in questi giorni dalle persone del quartiere San Domenico- Angeli. Mi hanno dato una splendida lezione teorico-pratica di speranza cristiana!
In questo tempo strano, surreale e particolarmente difficile per la diffusione del virus Covid 19 e della paura per noi, i nostri cari, il mondo intero, so che serpeggia (non è un caso che nella bibbia l’immagine del Maligno venga affiancata al serpente che si insinua) l’idea di flagelli mandati da Dio o nuove idee dell’imminente apocalisse, ma mi sembra – alla luce della esperienza personale maturata in questi giorni tra la gente del popolo – che sia l’opinione di poche persone che non conoscono il vero volto di Dio e della Chiesa suo mistico corpo.
La cosa strana che mi è capitata in questi giorni è proprio questa: su questi temi ho avuto in questi giorni una serie di bellissime testimonianze dalla gente della mia parrocchia; ho sentito parole di incoraggiamento, ho visto segni concreti di solidarietà, ho sperimentato la fede semplice e gioiosa della comunità.
Persone semplici, quelle del quartiere. Persone che, agli occhi del mondo, sono considerate gli “umili” o gli ultimi, ma che agli occhi di Dio sono grandi, anzi sono i primi (beati gli ultimi perché saranno i primi…). Gente della strada, che lotta. Che alle volte è chiusa dentro le proprie difficoltà, ma altre volte manifesta un cuore grande e una generosità che in altri “benestanti e benpensanti” non si trova. Persone vere con una spiritualità semplice, da educare e far crescere nella conoscenza del volto di Dio – ma questo vale per tutti, oggi – con un grande amore per le tradizioni e per quell’approccio alla preghiera e alla vita, che sa di genuinità, direi di… “pane e vangelo”.
Certo alle volte c’è un po’ di confusione – per dirla con San Francesco – tra il Padrone e il servo (il Santo e i santi ad esempio), un po’ di pigrizia spirituale e, alle volte, le piccole cose del mondo prendono il sopravvento sui grandi ideali cristiani, ma quando si toglie la ruvida scorza del cuore dell’uomo, torna a brillare la Bellezza del Creatore.
Ho voluto descrivere così la “mia” gente con la quale mi sono confrontato in questi giorni tramite telefono o in lunghe chiacchierate da balcone a balcone, soprattutto con gli anziani. E qui la testimonianza “controcorrente” che mi ha riempito di speranza e di gioia: nessuno mi ha parlato del coronavirus come un flagello mandato da Dio per punire gli uomini; tutti mi hanno detto che questo è un tempo forte, ma che stanno trovando nella preghiera personale e comunitaria (attraverso soprattutto la televisione per i più anziani e attraverso i nuovi social per i più giovani), tanto coraggio e tanta speranza.
La gente mi ha detto, con il suo linguaggio e i suoi gesti concreti, che il Dio cristiano è il Dio vita, non della morte. È il Dio della gioia che ha affrontato il tempo del dolore. È il Dio della Pasqua che si vive dopo la quaresima. L’attesa quest’anno è più lunga e nessuno deve affrontare questo periodo con immaturità umana e spirituale, ma è un tempo, una fase, che deve finire. Come dice il saggio Qoelet nella bibbia:” c’è un tempo per ogni cosa”.
Non è questa la sede per approfondire determinate tematiche. Anche perché, come ho detto, mi sembrano più belle le testimonianza positive che in forme e modi diversi sto vedendo nel popolo di Dio: penso ai tanti sacerdoti, ai religiosi e alle religiose che giornalmente celebrano la messa e che pregano nel silenzio delle loro stanze o delle chiese per l’intera comunità; penso ai tanti operatori che si impegnano per il bene comune, penso ai tanti volontari che cercano di alleviare sofferenze e paure; penso ai tanti piccoli del mondo che pensano di non poter fare nulla, ma che in realtà con la loro stessa presenza ci dicono la straordinaria grandezza del mistero dell’uomo. Come dice San Paolo siamo “tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi”. E i serpenti (di qualsiasi tipo), come ci mostrano i nostri patroni san Michele e la Vergine Immacolata, sono schiacciati e vinti. Questo mi ha insegnato la gente vera, i cristiani veri, in questo tempo di passaggio, dal buio alla luce, dalla quaresima alla Pasqua».